Combattere gli stereotipi nella società di oggi sembra tanto facile quanto in realtà difficile. Se infatti nel 2017 l’apertura mentale dei cittadini del mondo è sicuramente superiore rispetto al passato, ci sono ancora delle realtà che vengono stigmatizzate e viste non proprio di buon occhio. Ecco allora che a Toronto si è deciso di aprire un ristorante dove tutti gli chef, 14 cuochi per la precisione, sono sieropositivi.
Questo primo ristorante pop-up al mondo gestito da uno staff positivo al virus dell’HIV è stato aperto al fine di dimostrare a tutti i clienti che le persone sieropositive non vanno stigmatizzate e che è possibile mangiare del cibo cucinato da loro in quanto questo virus si trasmette soltanto con l’ingresso di sangue infetto nell’organismo tramite rapporti sessuali non protetti e latte materno.
Il ristorante si chiama June’s e, ad aprirlo, è stato l’ospedale Casey House che da anni si occupa proprio della cura dei malati di AIDS: circa 100 persone ogni sera da quando il ristorante ha aperto si sono recate a mangiare in questo locale e gli organizzatori sperano di riuscire a organizzare altre serate simili in quest’ottica perché è molto importante e sfidare questi falsi miti che ancora esistono intorno all’argomento AIDS.
Come ha spiegato John Simons, a capo della Casey House, ogni chef ha una storia da raccontare e quindi queste serate in cui si mangia buon cibo diventano anche momenti di scambio e crescita personale perché si vanno a conoscere delle realtà che fino a quel momento magari non immaginavamo nemmeno potessero esistere. Tutte queste testimonianze sono infatti importanti per abbattere ogni pregiudizio, falsi miti e idee sbagliate sulle persone affette da HIV.
Ovviamente la domanda sorge spontanea: “E se un cuoco si taglia mentre è in cucina?”. La risposta arriva direttamente dalla dottoressa Simons che ha risposto che, qualora qualcuno si dovesse tagliare in cucina, ci si comporta esattamente come in ogni altro ristorante: si cura la ferita, si pulisce la stanza e il piano di lavoro, e si butta il cibo entrato a contatto col sangue: “È una questione di buon senso” ha sottolineato la dottoressa John Simons.