Terrorismo, una minaccia per il Mediterraneo. Gli attentati terroristici che hanno sconvolto l’Europa, la Turchia e il Nord Africa nell’ultimo anno e mezzo stanno ridisegnando la mappa del rischio. Il bersaglio “preferito” è diventato la Francia, con tre gravi episodi:
- l’attentato a inizio 2015 alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo;
- gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, soprattutto allo storico locale Bataclan;
- l’attentato della sera del 14 luglio a Nizza.
Poi ricordiamo gli attentati di Bruxelles di marzo, all’aeroporto e alla metropolitana della città sede dell’Unione Europea. Ricordiamo, ancora prima, la terribile strage sulla spiaggia di Sousse, in Tunisia, a giugno dello scorso anno.
Ma il mondo è pieno di attentati, purtroppo. Continui attacchi kamikaze, autobombe, in paesi e luoghi che conosciamo appena. Per avere un esempio significativo, basta ricordare l‘attentato a Baghdad di un paio di settimane fa, quando un kamikaze si è fatto esplodere, facendo 250 vittime, tra cui molti bambini in un centro commerciale. Ci sono poi le bombe a bordo degli aerei, come è successo lo scorso autunno per l’aereo russo della Metrojet, esploso in volo poco dopo essere partito da Sharm-el-Sheik. Infine i numerosi attentati che hanno colpito Istanbul, anche in zone frequentate dai turisti.
Le dinamiche degli attentati
Scenari terrificanti di un mondo in subbuglio. Le dinamiche degli attentati seguono uno schema simile: attacco dinamitardo con kamikaze che si fa esplodere, spesso a bordo di un’autobomba (una modalità seguita in Medio Oriente), assalto a colpi di arma da fuoco, con kalashnikov, al termine del quale i terroristi azionano la cintura esplosiva che indossano facendosi saltare in aria. Con gli attacchi kamikaze il numero delle vittime è altissimo.
Gli attentati alle capitali europee, sulle spiagge, nelle località turistiche suscitano sgomento e allarme e mettono in stato di allerta i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Un’area profondamente scossa dalla crisi cronica del Medio Oriente: il conflitto israelo-palestinese, la guerra civile siriana, il caos in Libia, lo Stato Islamico in Iraq, l’instabilità interna di Egitto e Turchia, la crisi economica in Tunisia, che sta consegnando molti giovani nelle mani dell’estremismo islamico. Molti cosiddetti foreign fighters, pronti ad immolarsi alla causa dello Stato Islamico vengono proprio dalla Tunisia.
Ecco perchè tutto il Mediterraneo è a rischio attentati
A queste situazioni critiche si aggiunge il dramma dei rifugiati e dei migranti, in fuga da guerre, terrorismo, carestie, crisi ambientali ed economiche. Un vero e proprio esodo gestito da vere e proprie organizzazioni criminali multinazionali che lucrano nella tratta degli esseri umani, con profitti che si aggirano tra i 6 e i 10 miliardi di euro all’anno. Ad approfittare dell’industria criminale del traffico di esseri umani è anche l’Isis, l’auto proclamato Stato Islamico, che in questo modo ottiene i finanziamenti per le sue attività terroristiche, in Oriente e in Occidente.
Non solo, servendosi del traffico dei migranti, l’Isis può infiltrare i suoi terroristi nelle file dei disperati, rendendo più difficile alle polizie europee individuare i soggetti più pericolosi. Anche se non esiste alcun legame diretto fra il terrorismo e i fenomeni migratori, come ha dimostrato un rapporto di Interpol del 2015, tuttavia esiste un “rischio crescente”, spiega lo stesso rapporto, di foreign fighters che possono unirsi al flusso migratorio per rientrare nell’Unione Europea. Pensiamo a quelli che sono partiti dall’Europa per andare in Siria o in Iraq ad addestrarsi nei campi di combattimento dell’Isis ed essendo stati già segnalati dalle polizie europee non possono tornare attraverso canali regolari. Va comunque ricordato che i terroristi degli attacchi di Parigi e Bruxelles viaggiavano liberamente per l’Europa, tra voli low cost e traghetti e soggiornavano tranquillamente in alberghi. Tutto un altro itinerario rispetto ai viaggi della speranza di chi scappa con i barconi dalle bombe o dalla fame, rischiando la vita.
Chi sono i foreign fighters?
I foreing fighters, espressione inglese a cui siamo ormai abituati e che significa combattenti stranieri, sono quelle persone, uomini ma anche donne, soprattutto giovani, figli o nipoti di immigrati musulmani in Europa.
Si tratta delle seconde o terze generazioni di immigrati, ragazzi nati nel Vecchio Continente, educati nelle scuole europee, cresciuti in Occidente e che spesso poco o nulla conoscono del Paese di origine della loro famiglia. Il più delle volte non sono nemmeno credenti o praticanti dell’Islam, hanno tutte le abitudini e anche i vizi dei loro coetanei occidentali. Tuttavia, ad un certo punto della loro vita, questi giovani si imbattono nei fondamentalisti islamici e vengono sedotti dalle loro promesse, candendo nella trappola della radicalizzazione.
Il reclutamento avviene soprattutto su Internet, il luogo dove moltissimi giovani trascorrono gran parte del loro tempo. E la presa psicologica su questi ragazzi diventa facile quando si tratta di offrire loro, con l’inganno, le promesse di una piena realizzazione personale. Una promessa allettante per molti immigrati di seconda generazione che si sentono abbandonati e in crisi di identità, perché fanno fatica ad integrarsi e realizzarsi nella società in cui sono cresciuti, che sentono estranea oppure ostile. Tornano così all’origine della cultura delle loro famiglie, ma nella forma più estremista e violenta. L’Isis sfrutta a pieno la fragilità di questi ragazzi per farne il proprio strumento di morte.
Il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha sottolineato tempo fa che “l’auto-proclamato Stato Islamico, è una minaccia alla pace nel Mediterraneo. L’Italia – ha spiegato – sta giocando un ruolo cruciale nel contrasto al terrorismo, alle altre minacce nel Mediterraneo e alla propaganda jihadista in Italia. Nel rispetto della libertà di parola, abbiamo introdotto pene più dure per l’utilizzo dei social media per istigare il terrorismo”. Una minaccia molto seria viene dalla Libia, dove “l’auto-proclamato Stato Islamico si sta espandendo. Noi siamo pronti ad assumere un ruolo di guida per assistere, all’interno della cornice giuridica Onu, un governo libico di unità nazionale, con l’obiettivo di stabilizzare il Paese”, ha aggiunto il ministro.
La lotta all’Isis, o Daesh “non è solo sul piano militare”, ha detto Gentiloni, “richiede una contro-strategia complessiva, che includa l’esaurimento del flusso di risorse finanziarie del gruppo, a cui l’Italia sta lavorando in qualità di co-lead del Counter-Isil Finance Group”.
Fonti:
– Limes: Chi sono e da dove vengono i foreign fighters
– Lettera43: Migranti, il traffico vale 10 miliardi all’anno
– Il Fatto Quotidiano: Migranti, Europol ed Interpol: “Traffico vale fino a 6 miliardi di dollari. 800mila pronti a partire dalla Libia”
– Askanews: Gentiloni: Isis è minaccia a pace nel Mediterraneo
Gentiloni: abbiamo ottenuto molti risultati della lotta a Daesh – VIDEO di Vista